Tour de France: il giorno della vergogna

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A volte si cercano gli aggettivi all'insegna del superlativo per descrivere un'impresa e invece, nel giorno della festa nazionale nazionale per la Francia nella quale era programmata una delle tappe più importanti del Tour 2016, la cronaca è sopraffatta dal grottesco e dall'inverosimile. Episodi assurdi, inaccettabili anche per una festa paesana. Figuriamoci per un evento sportivo che, fatta eccezione per le grandi manifestazioni con cadenza ogni quattro anni, rappresenta sicuramente uno dei più importanti, se non addirittura il più importante appuntamento sportivo dell'anno.
La maglia gialla che prosegue a piedi gli ultimi tratti di un finale che aveva già imposto - nonostante l'amputazione degli ultimi 6 chilometri - una chiara selezione e determinazione dei valori delle forze in campo, è quanto più di indecoroso e vergognoso possa macchiarsi un'organizzazione che sta dimostrando con cadenza regolare, grandi pecche. All'insegna di un'approssimazione e di una superficialità generale. Il crollo del gonfiabile indicante l'ultimo chilometro, qualche giorno fa, era già stato un chiaro segnale premonitore. Figurarsi se tali episodi si fossero verificati in una delle ormai residue corse di un giorno italiane, categoria 1.1, ancora presenti nel calendario internazionale. Nessuno avrebbe preso le difese di quegli organizzatori che pure, a fronte di grossi sacrifici personali, il più delle volte senza tutele e garanzie, cercano con il massimo impegno di garantire la sicurezza dei corridori, piuttosto che avventurarsi in onerose e sempre meno raggiungibili startlist di prestigio.
Appurata la necessità di dover rinunciare agli ultimi suggestivi 6000 metri di corsa, evidenziando tuttavia che un taglio simile avrebbe comunque proposto una competizione del tutto diversa, arricchita di un tratto nel quale più che le pendenze, sarebbe stato l'accumulo di fatica, oltre all'affrontare condizioni di carenza di ossigeno, a imporre una selezione maggiore e non certo indifferente, la situazione in corsa è stata davvero gestita con la massima improvvisazione. Transenne inesistenti; gendarmi, agenti e volontari a garantire quel legittimo varco di passaggio per la corsa, disposti con frequenze non costanti e piuttosto lontane. I corridori condizionati da regolamenti assurdi e poco tutelativi per loro stessi, costretti a subire le angherie e la voglia di conquistare le luci della ribalta del pubblico posto a bordo strada. Senza potersi concedere alla minima reazione, pur di tutelare comunque la propria incolumità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e l'analisi della dodicesima tappa implica valutazioni che vanno al di là e sono del tutto avulse alla cronaca agonistica.
Si sarebbe dovuto parlare di un altro capolavoro del generosissimo Thomas De Gendt che, dopo aver trionfato al Giro 2012 in vetta allo Stelvio, è riuscito a mettere in bacheca un'altra perla preziosissima. Essendo riuscito a capitalizzare al meglio una lunga fuga partita da lontano, alla quale gli uomini di classifica hanno concesso nelle fasi iniziali troppa libertà. Tale da divenire poi “mission impossible”, l'eventuale annullamento della stessa. Le maggiori attenzioni erano comunque concentrate intorno agli ipotetici volti nobili di questo Tour. La frazione del Mont Ventoux avrebbe dovuto fare maggiore chiarezza nello stabilire la consistenza effettiva dei valori in campo. La prima parte di Tour aveva proposto un Christopher Froome molto generoso e spettacolare che però non era riuscito come nelle passate edizioni, a imporre una chiara e netta supremazia in salita. Con Nairo Quintana, un po' da tutti indicato come il suo avversario principale che, a fronte di un atteggiamento passivo e mai propositivo, era riuscito sempre a restargli a ruota quando la strada incominciava a pendere. Il Ventoux, posto tra l'altro alla vigilia di un'importante prova individuale contro il tempo, avrebbe dovuto non solo dare queste risposte, ma anche quantificarle in termini di secondi e di minuti. Circostanza quest'ultima, sulla quale la Giuria ha dovuto invece agire “a tavolino”. Correggendo un responso che gli incredibili episodi avevano reso aggravante soprattutto per chi, come Froome e Porte, dopo avere attaccato e ottenuto un vantaggio interessante, si vedevano costretti a subire ritardi a causa di un incidente del quale oltre a non avere nessuna colpa a riguardo, erano costretti a subire le conseguenze di un'organizzazione incapace di tutelare gli attori principali e di garantire il regolare svolgimento della corsa.
Il ritocco dei tempi e dei distacchi da parte della Giuria restituisce in parte la dignità a questi due grandi protagonisti, ma non certo il vantaggio che essi avrebbero potuto conseguire a condizioni normali. Ci sarà da valutare poi quanto l'incidente potrà influire a livello fisico e nervoso sia su Fromme che su Porte, senza dimenticare l'olandese Mollema, sull'importante appuntamento di domani. La crono individuale di 37,5 Km da Bourg-Saint-Andéol a La Caverne du Pont-d'Arc, nella quale è richiesta la massima concentrazione e dove i corridori sono chiamati a fornire la migliore prestazione per la quale è necessario essere supportati da condizioni psico-fisiche ottimali. Soprattutto per Porte, l'impatto con la moto è sembrato abbastanza violento, tale da lasciare (sperando di no, ovviamente) fastidiose ferite facciali. Quanto a Froome e Mollema, le immagini televisive non riescono a chiarire la dinamica della loro caduta e c'è solo da sperare che essa non abbia lasciato conseguenze nei confronti di questi due protagonisti. Comunque la si voglia girare, tutte queste circostanze fortuite, ma assolutamente evitabili con una più approfondita pianificazione di tutela (presente molto spesso invece in eventi RCS Sport, grazie anche al prezioso quanto sobrio intervento di schiere di volontari), incidono sul risultato sportivo. Un risultato che soprattutto per il Tour de France è stato troppo spesso ritoccato "a tavolino" negli ultimi 20 anni. Questo è bene ricordarlo. Non tanto per infierire sulla corsa a tappe più importante al mondo, quanto perché, se un evento vuole fregiarsi di tale titolo, deve assolutamente garantire uno svolgimento regolare. Al di là di quelli che possono essere i condizionamenti esterni, dei quali comunque, l'organizzazione non può ritenersi avulsa. Proviamo a ricordarli? Tour 1996, il vincitore Rijs coinvolto in confessioni esterne che indicano in tale circostanza, segnalazioni di soglie di valore di ematocrito abnormi. Le sette maglie gialle revocate ad Armstrong dal 1999 al 2006. L'edizione 2007 consegnata “a tavolino” allo spagnolo Oscar Pereiro, dopo la condanna per doping di Floyd Landis. Le squalifiche sub judice di Alberto Contador e Denis Menchov, estromessi entrambi dai primi due posti della classifica generale nell'edizione 2010, a vantaggio di Andy Schleck e Samuel Sanchez che in merito a tale sentenza vanno ad occupare le prime due posizioni della classifica generale.
Con una situazione pregressa così pesante, alla luce di quanto è successo sul Mont Ventoux e senza dimenticare altri incidenti grotteschi ma molto gravi di cui si è macchiato il Tour (l'investimento di Flecha e Hoogerland al Tour 2011, il pullman che nel 2013 resta incastrato in Corsica  sotto le transenne dell'arrivo, l'arco dell'ultimo chilometro che qualche giorno fa è caduto addosso ad Adam Yates, anche lui alla ricerca in quella circostanza, di acquisire secondi preziosi), diventa opportuna e prioritaria la valutazione di un eventuale ridimensionamento e soprattutto un rigido controllo esterno nei confronti di un'organizzazione che non è più in grado di gestire l'evento stesso, minandone sempre più la credibilità.

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